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È un giochetto psicologico vecchio come il mondo: spostare l’attenzione del pubblico verso un (finto) problema di semplice risoluzione per distrarlo dalla vera emergenza, che invece richiederebbe sforzi, soldi e un bagaglio notevole di competenze per essere arginata.
Da mesi il dibattito sulla cannabis light infiamma l’arena politica, con l’attuale Governo prontissimo a farne oggetto di una propaganda allarmista e pure un po’ ignorante.
L’approccio del Ministro dell’Interno Matteo Salvini parte da uno stereotipo vecchio e soprattutto ampiamente smentito: dallo spinello è facile passare alla siringa, son sempre stupefacenti, e per questo motivo occorre combatterli allo stesso identico modo.
Peccato che non sia proprio così, anzi: stando al primo studio realizzato dalla European Economic Review, che ha preso in esame 106 province italiane, dall’introduzione dei cannabis light shop si stima che le organizzazioni criminali abbiano perso circa 170 milioni di euro, con una riduzione del 14% delle confische di marijuana per ogni negozio. Ma non solo: lo scorso febbraio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inviato all’Onu il proprio parere sulla cannabis, chiedendo di rimuoverla dalle sostanze più pericolose e di favorirne l’uso terapeutico.
Il Governo però fa orecchie da mercante, sperpera denaro in sequestri e non parla delle 89 persone che – a partire da gennaio 2019 – sono decedute per overdose di eroina. In maggioranza uomini di nazionalità italiana, hanno circa trentanove anni, sono morti soli nel 70% dei casi e rappresentano il 60% del totale dei morti per droga: l’anno scorso furono 161, in crescita per il secondo anno consecutivo senza che nessuno tra politici, responsabili della salute pubblica, sindaci, assessori si sia interrogato sui motivi di una simile ascesa.
Secondo l’ultima Relazione al Parlamento, nel 2017 i consumatori di eroina erano 285mila, per un giro di affari da 2,3 miliardi: si tratta di una droga economica(nel “boschetto” di Rogoredo, la piazza di spaccio più grande del nord Italia, i prezzi di una dose scendono fino a cinque euro); che dà una dipendenza immediata; spesso tagliata con sostanze che ne moltiplicano gli effetti. Le ragioni del nuovo boom, dopo anni in cui la cocaina e la sua promessa di iper-performativa hanno dominato il mercato degli stupefacenti, sono in primisda ricercare nelle esigenze dei consumatori, che ora vogliono una droga capace di assecondare il loro bisogno di evadere dalla realtà.
In secondo luogo c’è un motivo geopolitico: l’Afghanistan, il Paese da cui proviene la maggior parte dell’eroina spacciata in Italia, ha aumentato l’offerta(43% in più dal 2015 al 2016, quantificabile in circa 4.800 tonnellate) diminuendo i prezzi e diffondendone il consumo anche tra i più giovani. Un’inchiesta pubblicata su L’Espresso ha raccontato come l’età media dei ragazzi che provano questa sostanza per la prima volta si sia drammaticamente abbassata, raddoppiando negli ultimi cinque anni la presa in carico ai servizi sociali di minori tossicodipendenti. Il costo irrisorio fa sì che non sia più necessario commettere crimini per procurarsela, riducendo paradossalmente le possibilità che parenti, amici o forze dell’ordine siano in grado di scoprirne l’utilizzo.
L’eroina è la sostanza responsabile di creare la dipendenza più dannosa per se stessi e per gli altri, come conferma un’analisi dell’Economist, che la colloca immediatamente dopo l’alcol ma prima di crack, metanfetamine, cocaina e tabacco. Segue la cannabis, che si colloca terz’ultima, screditando ancora la tesi secondo la quale le droghe siano tutte ugualmente pesanti.
Che oltre a essere sbagliata è pure pericolosa, come spiega il medico tossicologo Salvatore Giancane, coordinatore dell’ambulatorio mobile dei SerT di Bologna e autore di Eroina. La malattia da oppiodi nell’era digitale: la legge 49 del 21 febbraio 2006 (la cosiddetta Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale nel 2014), che equiparava droghe leggere e droghe pesanti, anziché far percepire la cannabis come pericolosa quanto l’eroina ha ottenuto l’effetto opposto.Ai ragazzi viene detto che la cannabis è fatale, la loro esperienza personale però contraddice quest’idea, di conseguenza sono più portati a pensare che anche gli avvertimenti contro l’eroina siano esagerati.
Dai primi anni Duemila, poi, è cambiato il consumo: oggi sono infatti molti di più gli eroinomani che l’inalano rispetto a coloro che l’iniettano in vena (circa un terzo del totale). L’eroina prodotta per essere inalata appare diversa da quella fatta per essere iniettata: la prima è meno raffinata e di colore marroncino, la seconda è bianca e facilmente solubile in acqua. La diffusione del consumo per inalazione ha avvicinato nuove tipologie di persone, come coloro che avevano paura di aghi e siringhe o che temevano il rischio di contrarre malattie usandole, e che quindi in passato evitavano o ritardavano il primo contatto con l’eroina. Le siringhe inoltre vengono tuttora considerate il simbolo per eccellenza della tossicodipendenza, legate a un forte stigma sociale: eliminando dunque la parte relativa al vissuto della gestualità è in un certo senso caduta anche l’ultima barriera psicologica che poteva prevenire l’approccio iniziale.
A un quadro già di per sé drammatico occorre aggiungere un’ulteriore pedina: l’arrivo in Italia dei fentanili, farmaci oppioidi sintetici (ultra potenti ‘parenti’ dell’eroina creati in laboratorio), che nel 2017 negli Stati Uniti hanno causato da soli 30mila dei 70mila decessi complessivi per overdose.
Oltreoceano è ormai una prassi consolidata prescrivere forti antidolorifici oppioidi per lenire infortuni, dolori cronici o post operatori: questi farmaci – l’hydrocodone (Vicodin), l’oxycodone (OxyContin, Percocet, Percodan, Tylox) e il potentissimo Fentanyl – provocano però un’enorme dipendenza, che ha mietuto vittime celebri come Prince, Anna Nicole Smith, Heath Ledger, Dolores O’Riordan, Tom Petty.
Il Fentanyl in particolare è il più forte farmaco oppioide in commercio, cento volte più della morfina: sintetizzato negli anni Sessanta, viene assunto nei casi più gravi di dolore cronico o utilizzato per anestetizzare i pazienti prima delle operazioni chirurgiche e sta generando quella che pure il presidente Donald Trump ha definito«un’emergenza sanitaria nazionale».
La spirale che presto si trasforma in abuso comincia legalmente, ma una volta terminati i farmaci – che sono comunque approvati dalla Federal Drug Administration – e non potendo più rinnovare la ricetta, si passa al mercato nero: si stima che circa un milione di americanisia uscito dalla forza lavoro, generando un rallentamento dell’economia pari allo 0,2% annuo e concretizzato in una perdita di 702,1 miliardi di dollari fra il 1999 e il 2015.
Nel nostro Paese i farmaci oppioidi sono ancora percepiti come un tabù nella terapia del dolore, e la legislazione in termini di distribuzione è molto diversa: non esiste infatti una liberalizzazione della vendita, il che rende impossibile una diffusione ‘legale’ di queste sostanze.
Ciononostante, l’abitudine di acquistare oppioidi si è insinuata tra gli adolescenti, che li reperiscono online sul dark web o nel mercato dello spaccio. Il fenomeno è stato parecchio sottovalutato, tanto che la prima morte per overdose da Fentanyl, avvenuta nel 2017 a Milano, venne erroneamente attribuita a una generica overdose da eroina, salvo poi, un anno e mezzo dopo, assistere alla ritrattazione dell’Istituto Superiore di Sanità: no, non era eroina, il decesso è stato causato dall’Ocfentanil, derivato del Fentanyl.
Tradotto, i diciotto mesi intercorsi tra l’accaduto e la diffusione della notizia dimostrano che il sistema di allerta non ha funzionato, e per di più hanno ostacolato l’obiettivo primario di chi lavora nel settore: la prevenzione.
Il primo arresto in Lombardia per spaccio di Fentanyl – lo scorso aprile a Desenzano del Garda – ha fatto finire in manette un pusher 42enne di Salò, che ne aveva con sé 23 grammi: l’oppiaceo sintetico ha ufficialmente varcato i confini nazionali, dando il via a una serie di overdose e arresti che sembrano il preludio dell’epidemia avvenuta negli Stati Uniti.
«Un allarme Fentanyl esiste», spiega Elisa Norio, ricercatrice presso il Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità (Rissc). «Nel senso che è risaputo che il Fentanyl sia una sostanza da tenere sotto controllo: se in un Paese si consuma eroina e ci sono dei morti per eroina, allora c’è bisogno di monitorare attentamente la situazione per conoscere che cosa stanno assumendo davvero le persone».
Già, perché l’eroina che ha causato e sta causando sempre più decessi in Italia potrebbe benissimo essere eroina mischiata a Fentanyl, considerando che ne possono bastare due milligrammi per uccidere una persona:
«i mercati della droga – sia dal punto di vista dei criminali che dei consumatori – sono ormai dei mercati globali, che si osservano e si influenzano a vicenda, da una parte del mondo all’altra.Mescolare il Fentanyl con l’eroina è appunto una trovata che viene dagli Stati Uniti, non dall’Europa. Il Fentanyl è una sostanza conveniente, da cui si possono ottenere grandi ricavi anche con un investimento minimo. E la si può sintetizzare facilmente in laboratori clandestini, non serve neanche rubarla o corrompere medici e farmacisti per farla passare nel mercato irregolare», conclude Norio.
È innegabile che negli ultimi dieci anni il tipo di consumo dell’eroina sia cambiato, così come sono cambiate le caratteristiche di chi la usa: i problemi legati alle tossicodipendenze per un periodo si sono effettivamente ridotti, tornando però ad aumentare in modo considerevole di recente. Ciò ha fatto sì che dal 2005 i fondi nazionali per i progetti di supporto alle tossicodipendenze si interrompessero: le lezioni che gli operatori delle aziende sanitarie locali tenevano nelle scuole per parlare delle differenze tra le droghe non sono più finanziate, e pure a livello regionale si registra la medesima tendenza. I fondi della Lombardia, per esempio, sono stati ridotti progressivamente tagliati dell’80% in sette anni, nonostante la regione sia sede di una delle più grosse piazze di spaccio europee.
Se la guerra alla droga si trasforma in una lotta ai consumatori, è destinata a fallire: occorrerebbe inveceagire contro le organizzazioni criminali e i grandi spacciatori, investendo sforzi, tempo e denaro in azioni di prevenzione mirate e ben strutturate. Si tratta di una cosa facile? Ovviamente no.
È di gran lunga più semplice demonizzare la cannabis light e impegnarsi a chiudere a uno a uno i negozi che la vendono, avvalendosi di “tutti i responsabili della pubblica sicurezza e delle forze dell’ordine”
Fonte: Business Insider Italia